Quando si parla di performance art è naturale prendere in considerazione due capisaldi di questo genere: Yoko Ono e Marina Abramović . Famose per le loro provocazioni, sono passate alla storia principalmente per due lavori che, anche se a distanza di un decennio, sono molto simili tra loro: Cut Piece della Ono e Rhythm 0 dell’Abramović. Nella prima performance, che si è svolta nel 1965, l’artista, seduta su un palco, invita gli spettatori ad usare le forbici per tagliare i suoi abiti. Anche la Abramović realizza una performance simile alla galleria Morra di Napoli, che consiste nell'invitare gli spettatori ad utilizzare 72 oggetti (tra cui un coltello, una pistola e dei proiettili), disposti su un tavolo, sul corpo dell'artista.
Cosa accomuna le performances delle due artiste?
In entrambi i lavori, inizialmente, i partecipanti procedono con imbarazzo e cautela, ma prendendo confidenza con la situazione iniziando ad utilizzare gli oggetti messi a disposizione sui corpi delle due donne in maniera sempre più irriverente e spregiudicata. In questo modo i partecipanti attivi e i semplici astanti fanno emergere la vera natura dell’uomo, che è capace di agire senza riflettere sulle conseguenze.
Viene messa a dura prova non solo la resistenza fisica e mentale delle artiste, ma anche quella del pubblico. Senza il coinvolgimento, la partecipazione, anche solo visiva, e l'esecuzione delle istruzioni impartite non ci sarebbe stata alcuna opera. Due opere per certi versi stravaganti, ma con l’obiettivo ben preciso di dimostrare che lasciare il proprio corpo in balia delle persone può diventare pericoloso. La Ono crea una riflessione su come le donne vengono percepite dalla società, ma a differenza della Abramović, che diventa oggetto e si disumanizza, perde la sua identità ma non la sua umanità.