Alberto Burri (1915-1995)

Arruolatosi come ufficiale medico durante la Seconda Guerra Mondiale, viene catturato e rinchiuso in un campo di prigionia in Texas, dove si converte alla pittura. Al suo rientro in Italia, nel 1945, deluso dall’umanità e sconcertato dai dolori e dalle lacerazioni, decide di abbandonare la professione medica per trasformarsi in artista. Senza saperlo, di lì a poco sarebbe diventato uno dei maggiori esponenti dell’ Informale  italiano e soprattutto il più importante artista dell’«arte materica».Da questo momento in poi non esercita più la sua manualità sui corpi umani feriti, ma interviene chirurgicamente su diversi materiali, fuori dal normale.

Alberto Burri - foto 1

I primi esperimenti lo portano alla creazione di muffe, catrami, smalti, sabbie e oli ottenendo superfici dense e grumose. Dagli anni ’50 del Novecento, Burri si serve di una materia povera: i sacchi di iuta logori ( Tate Modern ), sporchi e rammendati, perché tutto ciò che è usato e deformato, narra il vissuto che lo ha ridotto in questa maniera. In seguito, l’artista aggiunge la bruciatura della plastica perché sente il bisogno di esprimere la sofferenza delle persone che hanno vissuto il martirio fisico ed emotivo della guerra. Successivamente realizza i famosi cretti ( Museo e Real Bosco di Capodimonte ), ottenuti con un impasto di colle viniliche, caolino e terre, che seccandosi, si cretta, per l’appunto.

Alberto Burri - foto 2

Sono delle grandi crepe, in bianco o in nero, aride e secche proprio come la terra. Le ultime opere sono, invece, caratterizzate da grandi quadri di colore nero, ma di un nero notturno, pieno di mistero e di suggestione.