James Joyce è stato il più grande esponente del romanzo moderno, nato agli inizi del XX secolo. Joyce ha ambientato tutti i suoi romanzi nella sua città natale, Dublino, descrivendone la gente, le strade, le case e la lingua in maniera realistica e dettagliata. Joyce fa vagare i protagonisti delle sue opere per la città, alla ricerca di qualcosa che possa cambiare le loro vite, ma senza mai riuscirci perché Dublino, secondo lo scrittore, non dà alcuna possibilità di crescere a livello spirituale. Pertanto, l'uomo moderno si paralizza e questa condizione deriva dalla sua incapacità di trovare una via d'uscita da questa sua malattia fisica, morale, politica e religiosa.
Joyce ha elaborato il flusso di coscienza, ovvero una tecnica narrativa che serve a rappresentare il flusso spontaneo dei pensieri più nascosti dei personaggi senza che questi vengano ordinati logicamente. Siccome non vi è più una distinzione tra passato e presente, Joyce non si pone più il problema di raccontare le storie in ordine cronologico perché capisce che non è il passare del tempo a svelare la verità sui personaggi e quindi la trama di un romanzo può svolgersi anche nell’arco di un giorno.
Joyce ha usato anche altre tecniche narrative per esprimere cosa accade nella mente di un personaggio, come per esempio l’epifania, cioè una rivelazione improvvisa causata da un oggetto banale o da un fatto che accade al protagonista in un momento di crisi e che gli rivela la realtà della sua condizione. Un’altra tecnica utilizzata da Joyce è il monologo interiore, attraverso cui il personaggio esprime i suoi pensieri senza una successione logica, senza seguire le regole grammaticali, senza punteggiatura e senza l’aiuto di un narratore, proprio per riflettere sulla confusione della mente umana.